Fratelli d’Italia?

Fratelli d’Italia?

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Ci siamo appena lasciati alle spalle campionato e coppe varie che è già tempo di Europei.



Ci siamo appena lasciati alle spalle campionato e coppe varie che è già tempo di Europei. Da questo finale di stagione sono emerse tre cose. La prima è che la Juve è tornata. La seconda - e lo hanno confermato proprio la Juve in finale di Coppa Italia e il Bayern nella Campioni - è che nel calcio, a differenza che nel rugby, la palla è rotonda. Sembra la scoperta dell'acqua calda, ma è in realtà una affermazione meno lapalissiana di quanto appaia. In italiano "la palla è rotonda" sta ad indicare che nel calcio nessun risultato possa essere dato per scontato: essendo rotonda - ed essendo i campi di gioco per lo più in piano (almeno quelli professionistici) -, la palla può rotolare in qualsiasi direzione, finendo magari nella porta che non ci si aspettava.
Da qui la terza conclusione: contro ogni pronostico, anche quest'anno vale la pena tifare Italia. In Italia lo faremo tutti, anche quelli che votano per la Lega. Ho i miei dubbi per quelli che nella Lega sono votati, ma si tratta di pochi provocatori che amano fare harakiri demagogico.

Gli italiani tiferanno Italia: anche questo pare lapalissiano, ma forse non a tutti. Forse non a quanti in passato mi hanno chiesto come possa succedere che nelle competizioni europee per club alcuni italiani tifino contro squadre connazionali.
Non è una legge assoluta, ma accade che tifosi di certe squadre gufino contro determinate compagini. Per spiegare meglio il movente di questo innocente fratricidio, devo aprire una parentesi storica che però, in un periodo di pausa del calcio giocato, ci può anche stare.


All'inizio del basso Medioevo, dopo aver subito anni di razzie e lo spopolamento in favore delle campagne, le città italiane conservavano comunque due caratteristiche che le rendeva ancora riconoscibili come tali: il vescovo (o il parroco per gli agglomerati più piccoli) e le mura perimetrali. Queste costituirono importante riferimento dopo che il periodo cosiddetto di ‘anarchia feudale' causò, in buona parte d'Europa, una frammentazione territoriale che avviava la fine del feudalesimo, a
perlomeno di quello direttamente riconducibile all'imperatore. Lo scompiglio nella gestione territoriale, unito alla necessità di ripararsi dagli assalti di Ungari, Saraceni e Vichinghi, determinò una riconsiderazione dell'opportunità di raccogliersi in agglomerati. Le popolazioni fecero ritorno nelle città (o in quel che rimaneva di antichi nuclei), dando origine al processo di incastellamento per scopi difensivi.
I castelli divennero presto il nucleo del potere economico, politico e militare rendendo i centri che vi si sviluppavano intorno praticamente indipendenti dal potere imperiale. Queste nuove entità erano estranee e concettualmente opposte all'ordine feudale fino ad allora vigente ed approfittarono dei disordini interni all'Impero per espandersi sia per territorio, sia per autorità.


Territorio e autorità, sono le parole chiave. Quando in Italia si parla di ‘rivalità storica' tra comuni vicini, l'aggettivo ‘storico' fa riferimento proprio agli attriti causati dallo sfregolare delle reciproche espansioni territoriali di quel periodo. Ma ad un certo punto proprio la conservazione dell'autorità territoriale divenne motivo di coesione tra i comuni limitrofi contro realtà terze. In particolare, quando nel XII secolo Federico Barbarossa rivendicò i propri diritti sui Comuni italiani, questi diedero prova di saper accantonare le rivalità interne coalizzandosi in una Lega che di fatto ottenne libertà e privilegi. Era il 1183. 


Successe allora ciò che da quel momento diventerà una costante nella funzione identitaria degli italiani. Il nostro sentimento di appartenenza si sviluppa in una serie di confini concentrici che si allargano dal quartiere all'intera penisola. La parola ‘campanilismo' in italiano indica un esasperato attaccamento al proprio paese. Ad essere etimologicamente severi si dovrebbe dire, per quanto detto sopra, ‘castellismo' (parola che in italiano non esiste), e ricondurre la portata semantica di "campanilismo" alle lotte tra quartieri: in Italia ogni quartiere ha una propria chiesa, e quindi un campanile, come ogni comune ha un proprio castello.


Due quartieri rivali si affronteranno quotidianamente, nella derisione quando non nello scontro fisico (una volta ci si prendeva a sassate, ai miei tempi fortunatamente si è passati alle sfide a calcio, anche se il bersaglio principale dei nostri calci non sempre era il pallone). Quegli stessi quartieri si coalizzeranno contro altri quartieri (l'esempio universalmente più conosciuto è il Palio di Siena). Tutti i quartieri di un paese si coalizzeranno contro un altro paese (identità locale). Due paesi contro altri paesi della stessa regione. L'intera regione contro un'altra regione (identità regionale). Tutte le regioni contro lo straniero (identità nazionale).

Ma allora perché se l'Inter giocasse contro, diciamo, il Barcellona, juventini e milanisti tiferebbero contro? L'Inter è una squadra italiana (almeno finché non leggiamo la formazione), il Barcellona invece straniera. In questo caso prevale il più piccolo dei cerchi di appartenenza, quello della rivalità interna. Non si può tifare per il nemico di sempre. Colui con il quale si è in quotidiana polemica (la derisione), quando non in battaglia fisica (la partita vera e propria). Non è che si faccia il tifo per una squadra straniera: lo si fa contro una squadra odiata, che non è proprio la stessa cosa. Nel caso delle coppe europee manca, infatti, un presupposto fondante: il pericolo comune. Gli italiani dalla caduta dell'Impero romano in poi si coalizzano soprattutto contro una minaccia comune. E, nell'esempio precedente, il Barca costituisce un pericolo soltanto per l'interista. Per lo juventino e il milanista che se ne stanno seduti in poltrona a guardare la partita, l'unico pericolo è che le patatine gli vadano di traverso. O peggio che l'odiata nemica vinca un titolo in più. Perché si può prevalere sul diretto avversario due massimo quattro volte all'anno (se capita di incrociarsi anche nelle coppe), ma per il resto quella tra i titoli vinti rimane una distanza di sicurezza da cui eludere, in ultima istanza, le offese avversarie nello scontro della derisione quotidiana.


Se ne conclude che quello che ci attraversa non è un vero e proprio sentimento nazionale, ma un orgoglio di appartenenza a strati che culmina nell'italianità. A Milano vi spiegheranno che la vera Italia è quella: la moda, lo stile, il Duomo, l'aperitivo... gli altri lì giù sono solo africani. A Palermo vi convinceranno che la vera Italia è la loro: il mare, il sole, la buona cucina, l'ospitalità... gli altri lì su sono solo crucchi.

In Polonia e Ucraina l'azzurro sarà allo stesso momento il colore di Palermo come di Milano, di Napoli come di Torino, di Roma come di Genova, Bologna, Pescara e Verona... 


Per questo, anche grazie alla Lega del XII secolo, tutti gli italiani tiferanno Italia. Nonostante la Lega, quella del XX secolo.


Stefano István Naccarella

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